Una riflessione importante

Sulla violenza e gli omicidi di donne

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  1. allegretto
     
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    Vorrei condividere questi pensieri di Michela Murgia ricevuti dalla Casa delle Donne

    In mezzo alle grida indignate dei giustizialisti del giorno dopo, a me l'ultima cosa che interessa è sapere se verrà dato l'ergastolo all'uomo che ha ucciso Sara di Pietrantonio.
    Molto più importante mi pare capire perché di uomini come quello in Italia ce ne siano migliaia e picchino, violentino o uccidano altrettante donne ogni anno.
    Lo sappiamo che le cause sono culturali.
    Lo sappiamo che Vincenzo Paduano non è un mostro, un folle, la vittima di un raptus, ma è il frutto di una cultura che costruisce e alimenta in tutti e in tutte noi l'idea che una donna sia una cosa ("sei mia/sono sua") o una funzione ("la moglie/fidanzata/figlia/sorella/madre"), ma mai una persona dotata di autonomia.
    Sappiamo anche che quella cultura si chiama sessismo ed è fatta di tanti ingredienti, il primo dei quali è non vedere il problema.
    C'è un rifiuto da parte di molti ad accettare che il maschilismo esista e faccia ogni anno decine di morti. Negarlo però è un modo per continuare a pensare che quelle morti sono tutti raptus, tutti gesti inconsulti, tutte eccezioni, e non la norma di una mentalità che ci appartiene da secoli. Poi c'è la resistenza ai programmi scolastici di educazione contro gli stereotipi di genere: a dire cos'è un uomo, cos'è una donna, come è amore e come si dice addio si impara, ma in Europa i soli paesi che non lo insegnano sono l'Italia e la Grecia. Disastrosa è anche la leggenda che esista una "Famiglia Naturale" con ruoli maschili e femminili immutabili, e quindi guai a chi sottrae. Infine, ma non certo per importanza, c'è il vergognoso taglio dei fondi ai centri antiviolenza, gli unici luoghi dove le donne trovano consiglio e rifugio.
    Poi c'è il linguaggio, visibile persino nel modo in cui è stata data dai giornali la notizia della morte di Sara di Pietrantonio, continuamente definita "fidanzata" o "ex fidanzata", cioè proprio la funzione relazionale a cui aveva voluto sottrarsi. Se è chiaro a tutti che la ragazza è morta perché non voleva più essere la fidanzata di Vincenzo Paduano, perché - maledetti giornalisti senza codice deontologico - continuate a definirla con il linguaggio della relazione da cui era uscita? Perché mettete la foto dell'assassino e della vittima insieme abbracciati? State realizzando il sogno dell'omicida: ricomporre nella morte la storia d'amore che non c'era più.
    In coda (o a monte?) c'è anche il resto, quello che meno vogliamo vedere. Accanto alla notizia dell'omicidio di Sara, ieri su un quotidiano on line c'era un boxino con la foto di una concorrente di Miss Italia misurata a mano col metro da un compiaciuto uomo-giudice. Non credo esista una migliore metafora per dire che l'esatta misura di come debba essere una donna in questo paese la vuol decidere sempre qualcun altro. Se permettiamo che il valore delle donne sia stabilito sul loro essere corpi, cose e funzioni, quel metro in mano ad altri potrà assumere tutte le forme che vuole.
    Persino quella di una bottiglia d'alcool.
    (No, non sto dicendo che il giudice di Miss Italia è un potenziale femminicida. Sto dicendo che alla base di ogni fenomeno sociale c'è un impianto simbolico dove tutto comincia. Fare finta di non vederlo lo conferma).
     
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  2. frida65
     
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    Ogni volta che la cronaca racconta di donne uccise dai loro uomini tutti ci domandiamo perché.
    Perché compagni, mariti, fidanzati uccidono le proprie compagne, mogli, fidanzate?
    Perché gli uomini uccidono le donne?
    Ripetiamo questa domanda all’ infinito, ci indigniamo, ci arrabbiamo, piangiamo, discutiamo ma, a quanto pare, nulla di tutto quello che facciamo, pensiamo, diciamo serve a fermare quelle mani assassine.
    Il numero di donne che ogni anno, nel mondo, muoiono uccise da chi affermava di amarle è impressionante. Anche nel nostro paese i casi di femminicidio sono tantissimi. Eppure viviamo nel 2016, in un paese democratico, siamo tutti istruiti, tecnologicamente all’ avanguardia, com’ è possibile che le violenze contro le donne continuino ad aumentare indipendentemente dal ceto sociale, dal livello di istruzione e dalla ricchezza?

    Si dice spesso che le cause sono culturali, che chi uccide una donna non è un mostro e che il suo comportamento violento è il risultato di una cultura sessista che non riesce ad accettare il declino dell’ " impero patriarcale" che per secoli ha dominato le donne imponendo loro funzioni specifiche (figlie, sorelle,mogli, madri, fidanzate) e considerandole oggetti di proprietà del maschio.
    Tutto vero.
    Però, nella maggior parte dei casi, la violenza scatta nel momento in cui la donna cerca di affermare la propria autonomia ponendo fine ad una relazione. La stragrande maggioranza degli uomini che uccidono le donne lo fa perché non accetta la separazione e non riesce a tollerare il dolore che qualsiasi abbandono genera in chi è stato lasciato. Sono uomini incapaci di entrare in contatto con le proprie emozioni e che non sanno gestire la rabbia né affrontare il dolore.
    Sono analfabeti emotivi, che non accettano che un amore possa finire, che non riescono ad accogliere la sofferenza generata dalla perdita né condividerla con qualcuno che possa aiutarli a superarla.
    Il problema è che quando il dolore non viene accolto, la rabbia non viene elaborata, la tristezza non viene riconosciuta, si genera una bomba emotiva che esplode nel gesto violento agito nei confronti di colei (la donna) che viene considerata la causa di quel malessere e, come tale, deve essere annientata.
    La violenza di genere, perciò, oltre che la conseguenza di una cultura sessista che si esprime con un linguaggio che offende la dignità della donna, è il risultato dell’ analfabetismo emotivo che opprime la nostra epoca.
    Dobbiamo assolutamente tornare ad educare emotivamente i nostri bambini, i nostri ragazzi , i nostri adolescenti insegnando loro a riconoscere e ad accogliere le emozioni e a gestirle in modo sano. Dobbiamo spiegare ai nostri figli che il dolore è parte integrante della vita, che la rabbia può essere espressa senza fare del male e che, quando da soli non siamo in grado di affrontare il vuoto di una perdita, lo strazio di una separazione, possiamo chiedere aiuto.
    Dobbiamo insegnare alle ragazze che l’ amore non è possesso e che nessuno può pretendere che una relazione duri per sempre.
    Ed è indispensabile far capire alle giovani donne che esiste un tipo di amore malato che vuole essere esclusivo, unico, eterno che limita, fagocita, minaccia e arriva ad uccidere.
    Le donne devono sapere che da questi amori malati si può fuggire, si deve fuggire rivolgendosi alle forze dell’ ordine e denunciando le violenze verbali, le botte, i comportamenti persecutori, le minacce. Perché un uomo che compie un gesto violento nei confronti di una donna anche solo una volta, se non si rende conto di aver bisogno di aiuto e non si fa seriamente seguire da un professionista, sarà violento sempre.

    In tutte le città sono presenti Centri Antiviolenza che accolgono le donne che vogliono liberarsi da un compagno violento e le seguono sostenendole.
    A Rivoli sono attivi:
    - presso l’ Ospedale lo SPORTELLO CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE
    - il Centro Antiviolenza (gestito da donne volontarie dell’Associazione Svolta Donna e sostenuto dall’ ASL TO 3) offre un ascolto telefonico e fornisce indicazioni utili. Numero verde 800 093900 .
     
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1 replies since 3/6/2016, 07:48   33 views
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